Cosa sta animando gli imprecisati compratori di credit default swap (assicurazioni contro il fallimento) sulla Berkshire Hathaway di Warren Buffett, che hanno fatto triplicare in due mesi il prezzo di questa copertura? Mercoledì 19, per assicurare 10 milioni di dollari di obbligazioni Berkshire occorreva spenderne 440mila.
Ora coprirsi dall'insolvenza della holding di Buffett (che dispone di 33,4 miliardi di dollari di liquidità e gode di una tripla A) costa di più che assicurarsi contro il default di Citigroup e di Goldman Sachs, quindi di società che sono state colpite duramente da decine di miliardi di dollari di svalutazioni. Facile credere che in giro ci sia qualcuno che si è fatto prendere dal panico, ma anche altri che alimentano sinistre speranze. Magari non proprio quella di vedere fallire Buffett, ma di assistere a un'escalation di paura, che possa far salire ulteriormente la quotazione dei Cds sulla Berkshire.
C'è da dire che stavolta il vecchio Warren è un andato un po' a cercarsela. Dopo aver passato anni a proclamare che i derivati sono uno strumento di distruzione di massa, ha fatto vendere allo scoperto alla Berkshire opzioni put a lungo termine. In particolare, la holding ha incassato un premio scommettendo sul fatto che quattro dei principali indici azionari (tra i quali l'S&P 500) arrivino alla scadenza (nel 2019) a livelli superiori rispetto a quello fissato alla sottoscrizione. Se dovesse vincere la scommessa, Buffett avrà ottenuto definitivamente il premio investito, più i rendimenti maturati.
Nel frattempo, però, la Berkshire ha dovuto iscrivere una perdita da derivati di 1,26 miliardi di dollari nella trimestrale al 30 settembre, perchè il ribasso degli indici ha ovviamente aumentato la passività implicita derivante della vendita delle opzioni put. Il caso di Buffett rivela quale sia la complessità insita anche nell'investimento in emittenti dal profilo rischio rendimento e dallo stile di gestione consolidato, che all'improvviso cominciano ad assomigliare a degli hedge fund (la quotazione della holding ha lasciato sul terreno il 46% da inizio anno, in linea con quanto perso dall'S&P 500).
Ma c'è da cogliere una differenza importante tra la sistematizzazione del dubbio nelle scelte di investimento e le ondate di panico che nelle fasi di grandi incertezza come quella attuale possono assalire gli investitori. In questa pagina Hugh Hendry, gestore dell'hedge fund Eclectica, rivela di aver realizzato profitti stellari in queste settimane, ma anche di aver continuato a perdere (poco) per anni. Ciò è stato possibile grazie a una strategia controcorrente, perseguita senza tentennamenti, fondata su un sano scetticismo riguardo a ciò che appariva una crescita senza fine dell'indebitamento e dei rischi nell'industria finanziaria. Essere assaliti adesso da dubbi atroci è tardivo, goffo e perfino dannoso.
Decisamente più saggio è chiedersi continuativamente se le scelte finanziarie fatte o da farsi siano le migliori possibili. E se i comportamenti della massa degli investitori (sia istituzionali che al dettaglio) siano razionali oppure no. Utilizzando questo metodo, ora si arriverebbe alla conclusione che probabilmente non è il caso di vendere tutte le attività diverse dalla liquidità e che anzi può essere opportuno fare il contrario. Come sta facendo il secondo fondo pensione inglese, l'University Superannuation Scheme, che ha manifestato l'intenzione di aumentare la quota del portafoglio dedicata agli hedge fund proprio per approfittare delle opportunità che si sono create dopo le recenti perdite.
marco.liera@ilsole24ore.com
